Definizione di epistemologia femminista
Varie / / November 09, 2021
Definizione concettuale
L'epistemologia femminista è un insieme di correnti che prendono come punto di partenza la critica della predominanza dello sguardo maschile nella costruzione della conoscenza, in particolare della conoscenza scientifico. Questa critica è fondamentalmente legata a due caratteristiche della concezione tradizionale dell'epistemologia, che intende la conoscenza scientifica come oggettiva e universale.
Formazione in filosofia
Le epistemologie femministe sottolineano che, nella misura in cui la conoscenza è prodotta da soggettività diverse, il risultato è diverso. Secondo diversi aspetti, ci sarà un impegno maggiore o minore alla possibilità di accedere a una verità oggettiva attraverso la scienza, come vedremo in seguito.
Allo stesso tempo, porteranno avanti una lotta contro l'esclusione delle soggettività non cis-maschili nel campo della produzione della conoscenza, storicamente organizzata sotto un privilegio maschile, sotto l'argomento che le donne non sarebbero "adatte" per il
pensiero e scienza. Si tratta di un movimento che, da un lato, accompagna altre critiche al canone epistemologico tradizionale (vedi Epistemologie del Sud) e, dall'altro, fa parte del femminismo in quanto movimento Sociale più ampio, i cui interessi sono legati a una trasformazione dell'ordine sociale.L'empirismo femminista
All'interno delle epistemologie femministe, possiamo distinguere tra diverse correnti. Il primo che menzioneremo è l'empirismo femminista, che si concentra sui pregiudizi androcentrici della produzione scientifica. Vale a dire, sostiene che, poiché sono principalmente gli uomini che indagano e producono scienza, non sarebbero in grado di percepiscono i propri pregiudizi di genere, quindi finiscono per travisare l'obiettività del conoscenza. In questo modo, la possibilità dell'obiettività in sé non è messa in discussione, ma piuttosto la proposta presuppone che tale obiettività possa essere raggiunta correggendo tali pregiudizi di genere. La soluzione starebbe, allora, nell'incorporazione di scienziate e ricercatrici nel campo della conoscenza, il cui contrappeso correggerebbe il problema, posto in termini metodologici. Il metodo scientificoQuindi, è sufficiente accedere a una verità non androcentrica, purché le sue pratiche siano riformate.
Teoria del punto di vista
Il punto di vista femminista in epistemologia, il cui principale rappresentante è la filosofa americana Sandra Harding (1935), sostiene una critica alla proposta precedente. Non sarebbe possibile correggere il metodo scientifico modificandone le pratiche includendo più donne perché, in definitiva, è necessario ripensare alle norme di indagine, tenendo conto che rispondono a un contesto sociale più ampio.
Il punto di vista femminile sarebbe, per questa teoria, un punto di vista epistemologicamente privilegiato rispetto al punto di vista maschile, poiché storicamente è stato conformato come un punto di vista socialmente soggiogato e, quindi, è in grado di dare conto di problemi che da un punto di vista socialmente egemonico non sono pensabile. In altre parole: le donne, essendo parte di una soggettività storicamente oppressa, sono capaci di osservare, dal periferie, problemi strategici che restano oscuri per coloro che si collocano al centro del campo della conoscenza, vale a dire, Uomo.
Allo stesso tempo, è necessario tenere conto, oltre ai pregiudizi di genere, di altri fattori condizionanti: classi sociali, razza, cultura. Di conseguenza, il potere del punto di vista femminista risiederebbe nella sua capacità di ripensare il problemi scientifici, tenendo conto di condizioni contestuali precedentemente escluse dal campo di scientifica. Ne risulterebbe quindi una "oggettività forte", contrapposta alla "oggettività debole" della tradizione epistemologica.
Le filosofie queer in epistemologia
Infine, faremo riferimento all'idea di "queer", che implica il rifiuto di assumere, dal femminismo, l'identificazione con un tipo di identità dado. Cioè, il femminismo non dovrebbe consistere in una teoria "delle donne" o "per le donne", ma piuttosto un gesto decostruttivo dell'identità di genere intesa in termini binari: femminile e maschio. Uno dei principali filosofi che ha sviluppato questa nozione è Judith Butler (1956), proponendo pensare identità di genere come atto performativo. Possiamo citare, sulla stessa linea, il filosofo Paul B. Preciado (1970) o la zoologa e filosofa Donna Haraway (1944).
Si tratta di diverse elaborazioni teoriche che condividono come presupposto la necessità di ripensare la nozione stessa di oggettività nella scienza, - intesa dalla tradizione filosofia dell'Occidente - come forma di accesso privilegiato al mondo che era riservato esclusivamente all'essere umano e, al tempo stesso, identificando quell'essere umano come "uomo". In definitiva, il problema su cui si concentra questo aspetto teorico è quello della moderna separazione tra soggetto e oggetto, fondamento della conoscenza scientifica canonica.
Bibliografica consultata
HARDING, S. (1996) Scienza e femminismo. Madrid, Edizioni Morata.
BUTLER, J. (2007) Il genere in discussione. Femminismo e sovversione dell'identità. Barcellona, Paidos.
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