Esempio di scrittura di una storia
Redazione / / July 04, 2021
Il famoso narratore Lait consiglia una tecnica per scrivere una storia: partire da una premessa e svilupparla fino alla conclusione.
Premessa significa mettere una, due o più persone in una data situazione in un luogo, e poi, con immaginazione creativa, seguire queste persone attraverso quel luogo e attraverso quelle circostanze.
Trovo un esempio di premessa nel racconto Il principe felice, di Oscar Wilde:
"In alto sopra la città, su un'alta colonna, stava la statua del principe felice. Era tutto rivestito di fini lame d'oro puro, aveva due zaffiri scintillanti per gli occhi e un enorme rubino rosso luccicava sull'elsa della sua spada. Era davvero molto ammirato.
È bello come una banderuola, commentava uno dei consiglieri, che voleva farsi fama di avere gusti artistici; non è così utile, ha aggiunto, temendo che la gente possa pensare che non sia un uomo pratico quando in realtà lo era.
Perché non vuoi essere come il principe felice?, chiese una madre sensibile al suo bambino, che piangeva per la luna. Il principe felice non penserebbe mai di piangere per nulla." (Cfr. Bibliografia complementare, N° 56)
Perché il principe felice non piange per niente? Questa è la premessa. Una situazione molto semplice che richiede una conclusione, questa premessa con un'impostazione appropriata, un dialogo naturale e significativo, un climax e un esito, costituisce una storia.
IO. Includo, a titolo illustrativo, Amargura para tres somnambulos, di Gabriel García Márquez. Ritengo conveniente separare i suoi elementi formativi:
TITOLO:
amarezza per tre sonnambuli
PREMESSA:
"Ora ce l'avevamo lì, abbandonato in un angolo della casa. Qualcuno ci ha detto, prima che portassimo le sue cose - i suoi vestiti che odoravano di legno recente, le sue scarpe senza peso per il fango - che non poteva abituarsi a quella vita lenta, senza dolci sapori, senza altra attrazione che quella dura solitudine di lime e canto, sempre premuta al suo spalle. Qualcuno ci disse - ed era passato molto tempo prima che ce ne ricordassimo - che anche lei aveva avuto un'infanzia. Forse non ci credevamo, allora. Ma ora, vedendola seduta in un angolo con gli occhi attoniti, e un dito posato sulle labbra, forse abbiamo accettato che una volta avesse avuto un infanzia, che un tempo aveva il tocco sensibile all'attesa freschezza della pioggia, e che sosteneva sempre il suo corpo di profilo, un'ombra inaspettato.
Tutto questo - e molto altro - avevamo creduto quel pomeriggio quando ci siamo resi conto che, al di sopra del suo tremendo mondo sotterraneo, era completamente umana. Lo sapevamo, quando all'improvviso, come se dentro si fosse rotto un vetro, si mise a gridare angosciato; cominciò a chiamarci per nome ciascuno, parlando tra le lacrime, come se le nostre grida potessero saldare i cristalli sparsi. Solo allora potremmo credere che una volta abbia avuto un'infanzia. Era come se le sue urla fossero qualcosa come una rivelazione; come se avessero ricordato molto l'albero e il fiume profondo, quando si alzò, si sporse un po' in avanti, e ancora senza coprirsi il viso con il grembiule, ancora senza soffiarsi il naso, e ancora con le lacrime, ci ha detto: "Non voglio Sorridi."
AMBIENTE ADATTO:
Uscimmo nel patio, noi tre, senza parlare, forse pensavamo di portare pensieri comuni. Forse pensiamo che non sarebbe meglio accendere le luci in casa. Voleva stare da sola, forse, seduta nell'angolo in ombra, a tessere la sua ultima treccia, che sembrava essere l'unica cosa che sarebbe sopravvissuta al suo passaggio alla bestia.
Fuori, nel cortile, immersi nella fitta nebbia degli insetti, ci siamo seduti e abbiamo pensato a lei. L'avevamo fatto altre volte. Avremmo potuto dire che stavamo facendo quello che avevamo fatto ogni giorno della nostra vita.
Quella notte, però, fu diversa: lei aveva detto che non avrebbe mai più sorriso e noi, che la conoscevamo così tanto, eravamo certi che l'incubo si fosse avverato. Seduti in un triangolo, ce l'abbiamo immaginata dentro, astratta, incapace, anche per ascoltare gli innumerevoli orologi che misuravano il ritmo, marcato e meticoloso, in cui stava andando trasformandosi in polvere: "Se almeno avessimo avuto il coraggio di augurarle la morte", pensavamo in coro, ma la volevamo così: brutta e algida, come piccolo contributo al nostro nascosto difetti.
Eravamo adulti da prima, da molto tempo fa. Tuttavia, era la più anziana della casa. Quella stessa notte aveva potuto essere lì, seduta con noi, a sentire il caldo pulsare delle stelle, circondata da bambini sani. Sarebbe stata la rispettabile padrona di casa se fosse stata moglie di un buon borghese o concubina di un uomo puntuale. Ma si abituò a vivere in una sola dimensione, come la linea retta, forse perché di profilo non si vedevano i suoi vizi o le sue virtù. Da diversi anni sapevamo già tutto. Non siamo stati nemmeno sorpresi una mattina dopo esserci svegliati quando l'abbiamo trovata a faccia in giù nel cortile, che mordeva il terreno in un atteggiamento statico e duro. Poi sorrise, ci guardò di nuovo; era caduto dalla finestra del secondo piano sull'argilla dura del patio e giaceva lì, rigido e di cemento, a faccia in giù nel fango umido. Ma in seguito abbiamo appreso che l'unica cosa che ha mantenuto intatta è stata la paura della distanza, la paura naturale di fronte al vuoto. La solleviamo per le spalle. Non è stato così difficile come sembrava all'inizio. Al contrario, i suoi organi erano sciolti, staccati dalla volontà come un morto tiepido che non avesse cominciato a indurirsi.
CLIMAX:
Aveva gli occhi aperti, la bocca sporca, che doveva già avere il sapore di sedimento sepolcrale, quando le abbiamo messo il viso al sole ed era come se l'avessimo messa davanti a uno specchio. Ci guardava tutti con un'espressione spenta e asessuata che ci dava - già tenendola tra le mie braccia - la misura della sua assenza. Qualcuno ci ha detto che era morta; e poi rimase a sorridere con quel sorriso freddo e tranquillo che aveva nelle notti in cui girava sveglia per casa. Ha detto che non sapeva come fosse arrivato al patio. Disse di aver sentito molto calore, di aver udito un grillo penetrante, acuto, che sembrava - così disse - pronto ad abbattere il parete della sua stanza, e che aveva cominciato a ricordare le preghiere domenicali, con la guancia premuta contro il pavimento di cemento.
Sapevamo, però, che non ricordava nessuna frase, poiché in seguito abbiamo appreso che aveva perso la cognizione del tempo quando disse che si era addormentato tenendosi dentro il muro che il grillo spingeva dall'esterno, e che era completamente addormentata quando qualcuno, prendendola per le spalle, scostò il muro e la mise di fronte al Sole.
Quella notte sapevamo, seduti davanti al patio, che non avrebbe mai più sorriso. Forse la sua inespressiva serietà, la sua vita oscura e caparbia messa alle strette, ci hanno ferito in anticipo. Ci ha ferito profondamente, come il giorno in cui l'abbiamo vista seduta in un angolo, dove si trovava adesso; e lo sentimmo dire che non avrebbe mai più girato per casa. All'inizio non potevamo credergli. L'abbiamo vista per mesi e mesi vagare per le stanze a qualsiasi ora, con la testa dura e le spalle accasciate senza fermarsi, senza mai stancarsi. Di notte sentiamo il suo suono corporeo, denso, che si muove tra due tenebre, e forse noi molte volte sveglio nel letto, sentendola camminare furtivamente, seguendola con l'orecchio per tutto il casa. Una volta ci raccontò di aver visto il grillo dentro la luna dello specchio, affondato, sommerso nella solida trasparenza e di aver attraversato la superficie di vetro per raggiungerlo. Non sapevamo davvero cosa volesse dirci, ma vedevamo tutti che i suoi vestiti erano bagnati, appiccicati al suo corpo, come se fosse appena uscito da uno stagno. Senza cercare di spiegare a noi stessi il fenomeno, abbiamo deciso di porre fine agli insetti in casa: distruggere gli oggetti che la infestavano. Abbiamo fatto pulire le pareti; abbiamo ordinato di tagliare i cespugli nel cortile; ed era come se avessimo ripulito il silenzio della notte dai piccoli rifiuti. Ma non la sentiamo più camminare, né la sentiamo parlare del grillo, fino al giorno in cui, dopo l'ultimo pasto, Ci fissò, si sedette sul pavimento di cemento, continuando a guardarci, e disse: "Resto qui, seduta"; e ci siamo mescolati, perché si vedeva che aveva cominciato a somigliare a qualcosa che era già quasi del tutto simile alla morte.
Era tanto tempo fa e ci eravamo persino abituati a vederla lì, seduta, con la treccia sempre intrecciata a metà, come se si fosse dissolto nella sua solitudine e avesse perso, pur essendo visto, la naturale facoltà di essere Presente.
RISULTATO:
Così ora sapevamo che non avrebbe mai più sorriso; perché lo aveva detto nello stesso modo convinto e sicuro con cui una volta ci aveva detto che non avrebbe più camminato. Era come se fossimo certi che più tardi ci avrebbe detto: "non vedrò più", o forse: "non sentirò più", e sapessimo che era abbastanza umana da eliminare a piacimento. sue funzioni vitali e che, spontaneamente, sarebbe cessata, senso per senso, fino al giorno in cui l'abbiamo trovata appoggiata al muro, come se si fosse addormentata per la prima volta nel suo tutta la vita. Forse è passato molto tempo prima, ma noi tre seduti nel patio avremmo voluto che quella notte sentissimo la sua pianto acuto e improvviso, vetri rotti, almeno per darci l'illusione che dentro fosse nata una bambina casa. Credere di essere nato nuovo» (cfr. Bibliografia complementare, N*23)